Intorno alla metà dell’Ottocento in Germania cominciarono a essere pubblicati dei rebus come giochi, ma si trattò di esempi imprecisi, che avevano ancora molto di primitivo. Il rebus, fino ad allora, era un gioco affidato alla fantasia di uomini di cultura. E’ rimasto celebre l’invito a pranzo che Federico il Grande estese a Voltaire: p 6 A’ 6 heures à ——— A 100 cioè A six heures è souper à San-souci (alle sei a cena al Sans-souci). E Voltaire rispose, Ja (j’ai grand a-petit): ho molto appetito. La parte iniziale dell’800 vide il rebus come un gioco d’élite, chiaramente limitato a persone di cultura, ai loro circoli, alle loro famiglie. E’ dunque prevalentemente lasciato all’iniziativa individuale, all’estro dei singoli. Si disegnano, o si dipingono, in questo periodo, rebus anche molto belli e complessi, sovente di uno spiccato ermetismo, legati ad avvenimenti particolari o privati. Con la seconda metà del secolo, e con l’avvio di un discorso italiano unitario, il rebus compie un importante passo avanti, complice un’editoria che riconosce, nel paese, un suo pubblico emergente e ne coglie le esigenze. Così, anche nell’ambito dei giochi e dei passatempi, nasce pian piano la specializzazione, beninteso con approcio tipicamente ottocentesco, attento alla forma esteriore, al gusto culturale degli ambienti a cui il gioco si rivolge. Iconograficamente, questo dell’800, è il periodo migliore del rebus in Italia. Le figure sono quasi sempre affidate a illustratori di buona scuola, e quando interviene il dilettante si hanno svoente proposte argute, ricche di imprevedibili connotati simbolici. Nella seconda parte dell’800, il rebus provvede a “industrializzarsi”, grazie a libri di giochi, a periodici interamente dedicati al passatempo per l’individuo e per la famiglia; ma tutto avviene ancora in un clima di ricerca e di fantasia, nel rispetto della magia antica dell’immagine. |
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